Testi scritti


SCRITTI DI CARLO BERNARDINI

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DIVISIONE DELL’UNITA’ VISIVA

Le ragioni operative della divisione dell’unità visiva si basano su uno sdoppiamento tra la condizione visiva primaria, esterna all’opera e la condizione visiva, plastica o strutturale ad essa interna. Si determinano due apparati sperimentali che sono l’uno l’immagine speculare dell’altro. Se è vero che la relatività nelle nostre sensazioni fisiche e psichiche nei confronti delle cose, lascia spazio al presentimento dell’esistenza di una diversità tra la loro parvenza e la loro realtà, e quindi tra la loro realtà e la nostra coscienza, è altrettanto vero che il visibile si percepisce sempre al di qua o al di là dell’apparente. Su questo crinale le relazioni fra le cose, le loro regole di strutture reali, perdono definitivamente autonomia. L’ipotetica seconda condizione visiva e mentale a cui si indirizzano le possibilità intuitive della percezione, è da ricercare nella struttura intrinseca dello spazio dell’opera, sia se essa è costituita da materia inerte sia se è costituita da materia in movimento.E’ in questa seconda esistenza visiva che si avverte il senso di presenza di ciò che si ipotizza invisibile. I due aspetti speculari dell’immagine, ponendosi in rapporto di reciproco sconfinamento oppure di interscambiabilità al di là di ogni punto di vista, schiudono virtualmente le entrate nelle cose, come in una sorta di metamorfosi dell’immagine mentale nelle cose stesse. L’operazione di metamorfosi del visibile virtuale coni il visibile reale, si traduce in due diverse e autonome condizioni visive: l’una prende lentamente forma nell’altra, si materializza internamente escludendone l’involucro esteriore. La luce materializza la visione, e ciò che nella realtà è incorporeo come un’ombra, oltre il confine delle apparenze può divenire virtuale o illusorio come un raggio riflesso. Nel processo percettivo dovuto alla distinzione tra l’immagine del pensiero e quella della realtà, il rapporto di proiezione tra visibile ed invisibile è intrapreso sia come una sorta di trasmigrazione della percezione sensibile nelle cose, sia come una sorta di demolizione del concetto di unitarietà dell’opera.

Roma 1995


IPOTESI PER LA DIVISIONE DELL’ UNITA’ VISIVA

L’ombra e la luce pur essendo incorporee sono visibili. L’ombra è la proiezione buia delle cose. Occupa l’altro lato di un corpo. Ne aumenta la percezione dell’esistenza, rimanendo comunque sfuggente, inafferrabile. L’altro lato si trova oltre il confine delle apparenze, come un ulteriore aspetto o dimensione, è la seconda condizione visiva propria di ciò che stiamo osservando. Osservando un immagine non siamo quindi consapevoli né di tutti i suoi elementi costitutivi, né delle loro identità specifiche, in quanto il subentrare della nostra immaginazione, sovrapponendosi, ci impedisce di conservare intatta la sensazione primaria. Inizialmente in modo chiaro di una cosa avvertiamo una determinata sensazione, che è appunto la sensazione primaria; in un secondo tempo invece proprio gli elementi in principio non percepibili, le cosiddette «zone oscure», riaffiorando alla memoria tendono a rivivere in noi come qualcosa di nuovo ed estraneo, poiché dimentichiamo che facevano parte di quella sensazione precedente. L’automatica analisi sulla distinzione tra le cose come appaiono e le cose in sé, fa scaturire in noi la formazione di due diversi mondi, l’uno reale e l’altro illusorio. Tra questi due mondi, vi è una condizione intermedia che può essere spesso molto diversa o ambigua, e può trasporsi dall’uno all’altro così come un semplice riflesso può sembrare una luce. Noi infatti subiamo l’influsso attraverso i sensi, sia delle cose che ci circondano, sia di un mondo di entità poste al di là delle cose visibili. Il tentativo di trascendere le cose visibili attraverso altre fonti rispetto alla percezione sensibile, è alla base dell’ipotesi sulla scissione di una stessa immagine in diverse e autonome unità visive. Nell’arte il mistero del visivo, ovvero il mistero delle cose in sé, inosservate, dietro la facciata dell’apparenza, entra in contrapposizione proprio con il mondo delle cose apparenti. Queste ultime nella congiunzione tra la costruzione dell’immagine ed il pensiero, cedono il passo alle cose inconoscibili, forse non esistenti, le cosiddette «entità inosservabili». Pur non avendo in sé alcuna realtà, queste ci indicano una seconda esistenza sensoriale, che l’immagine traduce in visiva. E se proprio questa nella stessa immagine succede alla condizione visiva primaria, l’immagine di altro tipo scaturita diviene così esistente a sua volta, come uno stato virtuale. Anche trasformandosi in una entità a sé, la seconda condizione visiva resta comunque inferita e resa possibile soltanto dalla condizione visiva primaria dell’opera. La divisione dell’unità visiva si fa così trasparente proprio sull’impronta dell’immagine visiva primaria. E’ il risultato di un processo di epurazione della materialità iniziale, che avviene a livello di coscienza, per giungere ad uno spazio concettuale che non è più rappresentazione di quello che si immagina, bensì di quello da cui si immagina. L’immagine viene quindi inizialmentetrasfigurata nella chiarezza della coscienza. Successivamente invece, la forma dell’intuizione conclusa come ulteriore condizione visiva che l’immagine proietta al di fuori di sé, diventa la voce pura di qualcosa che esiste indipendentemente dalla coscienza. Un’immagine prima di proiettarla sulla superficie la si proietta dentro se stessi. Un’immagine può divenire caleidoscopio di se stessa. La sua forma come disposizione spaziale di una struttura organizzata in rapporto alla funzione, non può esprimere che se stessa. Può dar vita interiormente a cose che esteriormente non vivono. Ma l’equilibrio ideale tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, sfuggirà sempre ai nostri calcoli, quello che crediamo di aver trovato dopo tanto inseguire è lì, effimero e mutevole pronto a svanire nel nulla. Come l’entità segreta delle cose e delle loro parti costitutive ci resta sconosciuta, così anche nell’eterno compromesso tra il reale e l’illusorio vi sarà sempre una natura misteriosa, la quale ci accompagna come la nostra ombra.

Roma 1995


LO SPAZIO PERMEABILE

Nel disegno vi è la coniugazione tra la costruzione di un’immagine ed il pensiero che la origina. Un disegno perimetrale unificando il vuoto interno, tende a concentrare in esso la massima forza. Questa forza però può anche generare un’ambivalenza, rompendo i margini dello spazio interno alla forma. Partendo da questa ambivalenza quindi, dal mutamento di una realtà in un’altra realtà, un concetto di trasformazione di uno spazio ambientale, attraversabile, pone il punto di vista in bilico tra due ipotetiche posizioni, l’una esterna, l’altra interna. Tra una oggettività vista dal di fuori ed un’altra vista dal di dentro. La sovrapposizione ottica tra linee che lo attraversano e linee che corrono lungo i piani di uno spazio stesso, può determinare da un preciso angolo di campo una condizione visiva bidimensionale; quest’ultima cambiando volumetricamente, dà vita a forme tra loro speculari appena ci si muove da quel punto. Nel mutamento quindi possono scaturire le proprietà atte a permeare un luogo. Uno spazio cosiddetto “permeabile” può essere allora uno spazio virtuale tendente a forzare il limite dello spazio fisico. O al contrario tendente a racchiudere in un volume illusorio un ambiente reale. L’uno mira a sfondare l’interno dell’altro. E’ qui che la percezione dell’occhio può sentirsi chiamata in causa cercando la via di fuga dai confini di una forma. L’idea di uno spazio permeabile diviene così un disegno sulla trasformazione delle coordinate del luogo fisico. Se la linea che lo delimita, apparentemente accentra tanto il volume quanto il vuoto, può essa stessa ribaltare quelle coordinate, dando al primo il luogo del secondo e viceversa. E’ come se il volume si annullasse in una dimensione piana, ed il vuoto si ponesse quale fulcro di una dimensione illusoria. Una sorta dunque di spazio nello spazio. Vi sono due sole cose che hanno in sè una proprietà visibile ma immateriale per avvicinarsi a questo concetto: l’ombra e la luce. L’ombra può disegnarsi sulle superfici di uno spazio fisico, oppure può riempirne per mezzo dell’oscurità l’intero volume, ma non può attraversarlo. Resta allora soltanto la luce.

Roma 2000


AL DI LA’ DEL VISIVO PUO’ NON ESSERCI NULLA

Nel linguaggio visivo tra noi stessi e ciò che di noi affiora in un’immagine, vi è un zona franca, di cui cerchiamo di scoprire i segreti. La sperimentazione mira a schiuderne l’entrata e ad andare al di là di essa, è come un’esigenza di trasformazione che scaturisce dall’interiorità. Di fondo la sperimentazione diviene proprio una metodologia costruttiva finalizzata a dare forma e funzione ad un’opera, il cui procedimento tecnico può essere una scoperta inaspettata per l’artista stesso. I valori puramente visivi insiti nella superficie, nel volume, nello spazio, costituiscono nell’evoluzione artistica odierna un campo di ricerca quanto mai aperto. L’evoluzione infatti deriva dalla sperimentazione dei mezzi espressivi del proprio tempo; sovente nasce dalla combinazione tra la scienza e la forza delle idee. Attualmente è l’evoluzione scientifica che spinge la società verso un perenne dinamismo subordinato alle leggi della tecnologia; quest’ultima quindi occupa nella vita dell’uomo uno spazio prevalente. Se l’arte tende ancora a parlare concretamente all’uomo, è anche attraverso di essa che può tentare, piuttosto che trincerarsi nella torre d’avorio dei modelli del passato. L’arte può infatti anticipare le innovazioni della scienza, rinnovarsi guardando anche alle loro stesse applicazioni autonomamente, utilizzandone sistemi e mezzi durante il processo costruttivo dell’opera. La sua autenticità di linguaggio si vede quasi sempre quando si proietta nel futuro piuttosto che nel passato. Spesso le opere più difficili da identificare ma più autentiche, sono proprio quelle che precorrono il tempo, prive di elementi di tipo cronachistico. Se invero le innovazioni portate dalla scienza modificano le condizioni di vita dell’uomo, i contenuti cronachistici e citazionisti espressi dall’arte no. Nel momento in cui gli elementi superficie, volume, spazio, possono essere essi stessi il cardine della sperimentazione, eliminare ogni implicazione cronachistica dalla ricerca visiva appare un passo naturale. E’ proprio questo incontro tra logica e linguaggio che pone gli elementi in un rapporto di reciproca dipendenza formale, strutturale e funzionale. In tale condizione l’interesse intrinseco dell’immagine non è dunque per gli aspetti metaforici ed allusivi, ma è unicamente intorno al suo valore puramente visivo, al di là del quale può non esserci nulla.

Roma 2000


PROGETTO DI UNA SCULTURA

“Divisione dell’unità visiva” è una scultura composta da due unità visive autonome, costituite da due sculture distinte: una in acciaio inox visibile di giorno, l’altra in fibra ottica visibile di notte. Il progetto di “divisione” è attuato anche attraverso la mobilità percettiva dovuta alla possibilità di addentrarsi nelle sculture, osservandole così sia dall’esterno sia dallo spazio interno. Ambedue dispongono di un rispettivo e preciso punto di vista dal quale possono essere osservate in forma bidimensionale, romboidale per la scultura in acciaio, triangolare per quella in fibre ottiche, a causa della sovrapposizione visiva di queste due figure geometriche di partenza, su tutte le altre linee che compongono le relative strutture plastiche. Appena ci si muove da quel punto, visibile soltanto chiudendo un occhio come una sorta di obiettivo monoculare, il conseguente sdoppiarsi delle linee trasforma a livello percettivo lo spazio di entrambe le forme. La scultura in acciaio inox che nasce da una forma romboidale, con lo sdoppiamento delle linee dà vita ad una moltiplicazione in quattro triangoli; questa contiene all’interno la seconda scultura in fibra ottica, che partendo invece proprio da una forma primaria triangolare, dà a sua volta vita nello sdoppiarsi delle linee a tre forme romboidali. Le diverse percezioni delle due unità visive, si possono appunto ottenere muovendosi intorno alla scultura a partire dal punto di vista primario (bidimensionale) del romboide in acciaio, ed avanzando successivamente di qualche metro per poter trovare anche il punto di vista bidimensionale del triangolo in fibre ottiche. Addentrandosi inoltre nello spazio interno dal lato opposto, si possono vedere insieme e distinte, tutte le altre quattro figure geometriche derivate dalla moltiplicazione. Di giorno la struttura visiva leggerissima delle fibre ottiche non illuminate, lascia comunque intuire una propria forma nella forma in acciaio, così come quest’ultima mantiene la sua presenza di notte grazie proprio ai leggeri riflessi dei tubolari d’acciaio. Il vuoto nella massa plastica della scultura, privilegia la trasparenza della forma sul paesaggio chiamato così ad essere visivamente parte integrante del volume stesso. La forma di luce in fibra ottica che inizierà ad esistere con l’imbrunire, prenderà progressivamente tanta più forza visiva, quanto più perderà lentamente la sua visibilità col sopraggiungere del buio la scultura in acciaio. In senso opposto lo sfumare di una visione sull’altra si determinerà al sorgere del sole.

Roma 2001


IL DISEGNO MENTALE E IL SUO VOLUME VIRTUALE

Un’immagine visiva bidimensionale riduce la totalità spaziale delle tre dimensioni. Su una superficie pittorica quindi, oltre alle forme sono prevalentemente i colori a sostenere i rapporti spaziali. La superficie diviene allora il campo su cui si determina la sensazione illusoria del passaggio dalla seconda alla terza dimensione e viceversa. Nello spazio ambientale il problema sta invece nel trasportare questa sensazione attraverso la luce, che nonostante sia immateriale in qualità di elemento appartiene all’ordine del reale, quindi non è propriamente accostabile al fattore illusorio tipicamente pittorico. La luce costituisce fisicamente il principio del colore ed è proprio per mezzo di essa che la superficie può diventare spazio, così come lo spazio si può trasformare in superficie. Annullando l’illuminazione reale per trasformare le coordinate di un ambiente buio con un disegno di luce, superfici e spazi possono dunque integrarsi diventando architettura di uno “spazio mentale”. La luce tolta all’ambiente può essere così trasferita esclusivamente nel “disegno mentale” di questo ulteriore luogo. Alcune linee rette in fibra ottica articolandosi in relazione ai piani di una stanza possono determinare un campo dinamico di forme tese come apparenti superfici sottili. Una forma strutturata tridimensionalmente, il cui volume è riconducibile da uno specifico punto di vista ad un’unica figura geometrica piana per il sovrapporsi a livello ottico delle linee, può configurarsi invece dall’angolo di campo opposto al precedente all’interno dell’installazione, in una serie di figure geometriche distinte. E’ scomponendo e dividendo appunto lo spazio ambientale, che la relazione interna di quelle unità architettoniche e volumetriche bidimensionali e tridimensionali, si può sdoppiare in queste due unità visive autonome ed irriducibili l’una dall’altra. Il buio annulla lo spazio visivo, quindi anche l’esistenza di tutti gli effetti casuali dovuti alla luce reale o artificiale nell’ambiente interessato. Il preciso disegno mentale si può allora comporre solo mediante il segno di luce. Non è la forma installata ad adattarsi al luogo, ma il luogo a trasformarsi a sua immagine. La strutturazione del volume di cui si diceva, scaturita dall’occupazione dello spazio fisico attraverso la sottilissima linea di luce, può al tempo stesso apparire come uno spazio virtuale all’interno di uno spazio ambientale, o come uno spazio reale in quello illusorio. Se le tecnologie di riproduzione illusoria del mondo visibile, le cosiddette realtà virtuali, sembrerebbero portarci nel futuro a sostituire la vita reale anche nell’aspetto sensoriale, dissociandolo da quello corporeo, nelle arti visive sperimentali invece, il crinale che divide la rappresentazione esteriore dall’idea mentale può assottigliarsi al punto da scomparire. Il pensiero parte da sensazioni visive che si concretizzano nell’idea di una sintesi. Idea e opera sono quindi nella materia stessa o nella sua trasformazione intrinseca.

Roma 2002


LA LINEA SPERIMENTALE DELLA LUCE

La luce ha la proprietà di plasmare la nostra percezione delle cose. Riuscendo a permeare le nostre capacità percettive modificandole, può demolire i muri di confine di uno spazio e costituire un altro spazio in luogo del primo. Un linguaggio visivo basato su un fenomeno “immateriale” come la luce, conduce proprio la nostra percezione dello spazio al confine tra reale ed illusorio, ponendo in questa logica i suoi cardini sulla ricerca e sulla sperimentazione pura. La zona franca che incontriamo tra noi stessi e gli aspetti che di noi stessi emergono nel linguaggio visivo e che tentiamo di decifrare, spinge gioco forza proprio verso la sperimentazione, viatico privilegiato per addentrarsi in un luogo di cui non si possiedono le chiavi di accesso. L’evoluzione si manifesta quando la ricerca scientifica si unisce ad una forte necessità di trasformazione delle idee. Un linguaggio visivo può trovare attraverso un mezzo privo di corporeità proprio l’elemento essenziale a muoversi su quel crinale che divide nella nostra percezione lo stato reale delle cose da quello ipotetico o illusorio. E` proprio questa la “zona franca” di cui si diceva, in cui possiamo smarrire le coordinate percettive dello spazio per poi ritrovarle forzando il limite dello spazio fisico ed avventurandoci in un ipotetico secondo spazio. Nella pulsione interna tra di essi, lo spazio reale e quello del pensiero, l’uno tende a permeare l’interno dell’altro; l’intercomunicazione dei due determina la trasformazione percettiva ambientale. La luce può espandere oppure far nascere lo spazio sia se vi sono sia se non vi sono pareti o superfici a delimitarlo.

Milano 2004


LA QUARTA DIREZIONE DELLO SPAZIO

Il progetto “La Quarta Direzione dello Spazio” nasce in primo luogo con l’intento di realizzare in uno spazio una configurazione del tempo immaginario rispetto a quella del tempo reale, creando un dialogo intorno alla luce tra mezzi espressivi tecnologici come le fibre ottiche ed alcuni video sperimentali sulla luce. L’ipotesi operativa è di realizzare un campo dinamico interattivo di luce, costituito da un’installazione fissa audiovisiva in fibra ottica che ingloba lo spazio come un volume illusorio, entro il quale mediante dei sensori si attivano con il passaggio del fruitore dei video sperimentali astratti sulla luce, proiettati tra le pareti ed il pavimento. Si creerà un campo dinamico di luce basato anche sulla mobilità percettiva della luce indotta nell’osservatore, e sul mutamento delle coordinate prospettiche dello spazio architettonico. “La Quarta Direzione dello Spazio” si attua proprio attraverso la mobilità percettiva dovuta alla possibilità di addentrarsi in un primo momento nella sola installazione in fibra ottica, osservandola sia dall’esterno sia dallo spazio interno attraverso il proprio ritmo visivo, mentre in un secondo momento si è coinvolti dalla dinamica dei video che è preesistente ed indipendente dalla nostra volontà. Il concetto di tempo reale con il quale ci muoviamo all’interno dell’installazione, si intercambia quindi con una sorta di tempo immaginario, indotto dal movimento e dal ritmo della luce nel subentrare interattivo dei video al nostro passaggio nello spazio ambiente. La sovrapposizione sensoriale simultanea tra la trasformazione delle coordinate percettive dello spazio reale con la percezione di un tempo immaginario, può indurre ad una ancora successiva ipotetica sensazione di mutamento della direzione dello spazio. La quarta direzione è quindi ipotizzata sulla compresenza e dualità nello spazio delle due entità del tempo. Scritto insieme a Manu Sobral,

San Paolo del Brasile 2004


ANALISI E PROSPETTIVE NELL’EVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO

L’arte visiva è soggetta a continui cambiamenti ed evoluzioni sia nell’apparenza che nella sostanza, nelle idee, nei materiali così come nelle strutture formali. In essa vi è la proprietà di trasformare la nostra percezione in pensieri e concetti attraverso la trasformazione stessa della materia e della forma visiva. L’opera non è una soluzione o la finalizzazione del linguaggio, bensì è il campo sperimentale delle prospettive ancora sconosciute del linguaggio stesso e quindi del pensiero. L’iniziale casualità o inesattezza di un procedimento sperimentale può rivelarci un nuovo sistema funzionale del linguaggio, ed al contempo una seconda realtà visiva in luogo di quella fino a quel momento a noi prevedibile. La cosiddetta “seconda realtà” o condizione visiva, può essere determinata dall’illuminazione di un luogo particolare come il “disegno mentale” e dal conseguente oscuramento degli altri luoghi, i luoghi del reale. Il concetto di realtà va attaccato e stravolto proprio attraverso un progetto di “seconda realtà”. Il tentativo di copiare o far rivivere invece l’imitazione della realtà, porta solo ad incartapecorire nel presente il linguaggio del passato. Quando l’autenticità di un materiale o di un sistema operativo è legata al suo tempo ed è proprio in quel tempo che esprime la sua forza, al di fuori di esso diviene difficile rivitalizzarne il senso, quindi la ragione di essere nel processo innovativo. Al contrario l’iniziazione prodotta da materiali nuovi sul linguaggio visivo fa scaturire le conseguenti evoluzioni di idee e di pensiero. Gli autori innovativi danno vita a questi processi iniziatici, mentre tutti gli altri operano sul mantenimento degli stessi processi estendendone soltanto la durata nel tempo. La sperimentazione finalizzata all’innovazione del linguaggio ricrea la materia oppure ne ricostruisce una nuova identità attraverso la natura paradossale delle forme. Lo spazio e il tempo si sono spesso uniti intorno ai concetti di simultaneità e quindi di “spazializzazione del tempo”, determinando così l’attraversamento tra forme statiche immobili e forme dinamiche dal ritmo preesistente, entro le quali le fasi della percezione si formano per gradi successivi di sviluppo in base alla nostra libertà di movimento. Se il concetto di spazializzazione del tempo diventa così il paradigma della ricerca sperimentale, reale e irreale, logica ed immaginazione verranno a costituire una imprevedibile unità. Gli ordini uniformi e progressivi apparentemente irreversibili della realtà possono essere sovvertiti, fermati o invertiti in soluzioni di movimento parallele e simultanee ma illusoriamente distanti tra loro. Così la percezione della simultaneità di immagini diverse disgiunte nello spazio, crea appunto questo stato ambiguo tra lo spazio e il tempo, tra la fisicità delle cose ed i procedimenti mentali, causando una divisione delle relazioni interne tra più unità visive. Nel campo della sperimentazione visiva, quindi nella ricerca e nell’evoluzione dell’arte contemporanea, sulla base di tutte queste ipotesi che si manifestano, si può arrivare fino ad un sistema organico di respirazione dello spazio relazionato come da ritmi di vita autonoma. Le superfici sensibili, l’interazione della luce, la mediazione di forme tra le due e le tre dimensioni, possono spostare il raggio di percezione del linguaggio sugli elementi “non materiali”, presenze impercettibili, impalpabili, che diverranno così stimoli dei processi mentali compiuti all’interno di sistemi interattivi.

Milano 2005


LA LUCE CHE GENERA LO SPAZIO

Un foglio da disegno fino a quando resta bianco viene chiamato sempre “foglio”, ma dal momento in cui su di esso vi è un disegno il suo nome cambia e diviene “disegno”. Un disegno di luce, è un disegno mentale che sfrutta in luogo di una superficie lo spazio buio, come una sorta di foglio scuro sul quale strutturarsi in ‘negativo’. Un disegno nello spazio in fibra ottica può entrare in armonia con un luogo, ma può altrettanto chiedere allo spazio un rapporto di interrelazione, tendendo a trasformare l’ambiente in un senso illusorio, smaterializzando con la luce la fisicità delle pareti. Un’installazione può appunto ‘prendere’ lo spazio, inglobarlo al suo interno e spingerlo a forza nella dimensione visionaria determinata dall’idea, impossessandosi della sua identità. Un disegno mentale materializzato dalla luce fisica della fibra ottica può oltrepassare le pareti senza permettere all’osservatore di capirne l’origine. Le linee di luce passando attraverso i muri interrelazionano differenti stanze, coniugandole nello spazio di un’unica opera, la quale non avendo così un punto di vista totale, nel suo insieme può essere soltanto ricostruita come un puzzle nella mente del visitatore. L’installazione si appropria dello spazio e lo fagocita nel suo interno. E’ un rapporto di dominio quello che la forma spaziale instaura con il luogo, lo penetra, lo feconda, lo riduce in suo potere sino a trasformarlo in essa stessa. E’ un gioco dei ruoli quello in cui lo spazio si trasforma da contenitore in opera: il disegno di luce lo attraversa penetrandovi, ed una volta all’interno ne oltrepassa le mura senza soluzione di continuità. La linea in fibra ottica passa di stanza in stanza perforando le pareti e sforando attraverso i pavimenti, coniugando l’ambiente esterno con l’interno in un unico disegno: “Lo spazio permeabile”, il luogo in cui La luce genera lo spazio.

Milano 2009


LO SPAZIO TOTALE Idea e innovazione della forma visiva

Nell’arte visiva il campo dinamico di sperimentazione e ricerca sulla trasformazione dello spazio, segna il passo al tempo ed alle innovazioni dovute all’evoluzione del linguaggio. Negli ultimi anni le evoluzioni del linguaggio consequenziali a quelle dei “media” sono cresciute in modo esponenziale, al punto che la loro direzione nel campo dell’arte appare tanto più incerta quanto più in assoluta ascesa. Il concetto di “Spaziotempo” e le tre dimensioni divengono forzatamente superati da organismi visivi pluridimensionali animati da una pulsione ed una vita autonoma. Le dimensioni oscure che sfuggendo alla percezione destabilizzano le certezze fino ai limiti estremi della nostra conoscenza, si riscontrano in un tentativo ambizioso di proiettare nel futuro l’idea e la forma interiore delle cose in luogo del loro involucro esteriore. Le situazioni di maggiore complessità del linguaggio scaturiscono attraverso forme espressive in cui un luogo non assomiglia a sé medesimo, ma si riflette come una legge assoluta ed universale. L’idea e la forma visiva potendo di conseguenza attaccare i concetti di spazio e tempo, mirano a congelare questo luogo unico ed appunto “universale”. Un luogo si può manifestare attraverso un altro, lo spazio può manifestarsi attraverso il tempo ed al contrario il tempo può manifestarsi attraverso lo spazio. Quando un linguaggio visivo giunge sino a questo punto, nella sua forma espressiva possiamo vedere riflessi elementi di noi stessi. La forma visiva può avere invece un’autonoma proporzione che ne regolamenta la struttura interna oltre ad ogni concetto legato a quella stessa forma. Quando materia e tecnica si sviluppano naturalmente, partendo da specifiche necessità al fine di trovare nuove espressioni del linguaggio che si trasformano in stile, l’oggetto in quanto opera cede inevitabilmente il passo all’idea, un’idea che resta comunque indivisibile dalla forma. La tecnica diviene semplicemente il mezzo per arrivare ad un’idea, così gli attuali “media” possono rispondere alle prerogative di un’opera come una sorta di organismo visivo ambientale, e diventare altresì mezzi funzionali ad una fusione nell’architettura. La corrispondenza delle nuove tecniche espressive alle nuove idee è una logica conseguenza all’istintiva libertà data da elementi nuovi. La materia potendo determinare la forma ed il concetto, può avere anche la proprietà di generare essa stessa l’opera. Questa generazione dell’opera esula dalla realtà apparente, avviene quindi mediante l’espressione di un linguaggio che è forma di un mondo interiore che può trasformarsi in esteriore. Si può indifferentemente partire dalla semplicità, oppure giungervi attraverso un processo di sintesi, anche calcolando di disporre di un luogo senza confine, ovvero ipoteticamente uno spazio totale. Lo spazio totale in cui cadono i limiti, che come punto di non ritorno, può tradursi in partenza.

Milano 2010


LA “MATERIA” E’ IL VUOTO

La rivincita di un angolo può essere la trasformazione dello spazio da una posizione quasi mai presa in considerazione nei luoghi espositivi, molto spesso sottovalutata e secondaria rispetto alle più protagoniste pareti. L’angolo in veste di contenitore può diventare esso stesso opera, trovando così il suo riscatto nella riconfigurazione dello spazio attraverso una nuova architettura di luce. La fibra ottica è un pretesto per plasmare lo spazio, e il buio è la base di questo disegno mentale in quanto davanti a esso si è obbligati all’immaginazione, a una sorta di vedere non vedere. Ma la vera materia è il vuoto, e la luce ne cristallizza la forma. L’opera si appropria di un luogo imponendosi quale unica dominante, così come nella natura sono quelle pietre senza tempo, scolpite dal vento, incise dall’acqua e tinte dal sole. La materia non è detto sia quella che sembra essere… può essere invece quella che non c’è. La luce tende a plasmare il vuoto, e la trasformazione più grande che l’arte contemporanea ha vissuto non è tanto quella dei nuovi materiali, dei nuovi linguaggi o concetti espressivi, quanto la perdita del perimetro in un quadro e del volume proprio nella scultura; ciò accade nelle installazioni ambientali la cui occupazione dello spazio dettata dall’idea, domina lo spazio stesso. Affrontare con la luce le grandi architetture può essere esaltante come il ‘brivido delle vertigini’, ossia misurarsi con qualcosa di già grande che si può sfidare ma esserne al contempo annientati. Se le forme di luce si bloccano in una fissità apparente, possono determinare sottili giochi di equilibrio, ed una mobilità percettiva che può permettere di non vederle mai uguali a se stesse, da qualsiasi parte interna o esterna le si guardi. E’ qui che l’opera può allora sovvertire la distinzione con il contenitore, sottraendolo alle funzioni ordinarie della vita dell’uomo, divenire essa stessa lo spazio, e condurlo per mano in una dimensione “altra”, il luogo del pensiero.

Milano 2011


DIMENSIONI INVISIBILI

Le dimensioni invisibili possono essere quelle che nelle ricerche della fisica sperimentale intuitivamente s’intendono come le “dimensioni extra”; sono ipotizzate oltre le tre dimensioni tangibili, ossia non sono percepibili per l’occhio umano venendo quindi considerate inosservabili. Una forma di luce nell’oscurità quando si manifesta come un organismo visivo mutevole, anche se statica può apparire dinamica. La condizione di mobilità percettiva, sopravviene insieme alla possibilità di presumere cosa non vediamo nelle diverse profondità dello spazio insite nella forma stessa. Gli aspetti non visibili in un luogo ridisegnato dalla luce, approssimandoci alla lettura del vuoto attraverso nuove coordinate che plasmano l’ambiente, possono lasciarci avvertire la presenza proprio di quelle dimensioni extra che sfuggono alla nostra conoscenza. Così invisibili quanto intangibili, esse ci conducono verso ciò che sembra essere ignoto, ciò che solitamente con l’immaginazione non riusciamo a esplorare.Se nel percorso percettivo di ognuno vi è la possibilità di cogliere questo senso di trasformazione e mobilità, dove soltanto l’intuizione ha licenza di spingersi, rompendo la distinzione tra spazio interno e spazio esterno, non possono che mutare i codici d’interpretazione, le logiche dimensionali e il sistema dei valori delle cose. Talvolta in un luogo la luce può creare la sensazione di implodere l’energia all’interno di un contenitore, andando così ad aprire altre direttrici percettive oltre i limiti fisici dello spazio stesso, dilatandone i confini e influenzando direttamente la capacità di giudicare i rapporti dimensionali dell’osservatore. La luce può mutare gli aspetti dello spazio eludendone la fisicità, forzarne le superfici provocando visualmente una tensione verso l’esterno, nella direzione di ciò che è oltre, aprendo il varco a una nuova dimensione. E’ esattamente come se nel nostro modo di percepire le cose vi fosse una lunghezza d’onda differente, a favorire la proiezione dello spazio al di là della dimensione finita.Proprio nel luogo dove secondo la nostra intuizione lo spazio termina apparentemente, potrebbero avere inizio le dimensioni inosservabili.

Milano 2013


IL PUNTO DELL’INFINITO

 

L’instabilità del reale tende generalmente a sovvertire i normali parametri del nostro pensiero e gli aspetti prevedibili delle cose.

Girando intorno a una cosa o entrandovi dentro se si tratta di un ambiente, sono il nostro movimento o quello della forma e spazio osservati a far scaturire dei mutamenti percettivi.

Le regole che sostengono i rapporti di un sistema, differiscono e cambiano tra lo starci dentro e lo starne fuori. Si può passare e non entrare, si può entrare e non uscire, e se un cambiamento implica un altro cambiamento gli aspetti che intuiamo non restano mai uguali, possono dare vita a forme o tracciati che stabiliscono la loro centralità in ogni luogo.

La percezione di ciò che è invisibile nella nostra mente può così condizionare quello che invece è visibile, almeno quanto il futuro immaginato come possibile può essere condizionato o prevaricato dal passato.

Le forme immaginarie fuori dallo spazio e dal tempo, senza un principio o una fine, possono indurre una persona a cercare di aprirsi una strada per uscirne, una volta entrata e smarrita in un percorso interno alla ricerca di una o più vie di fuga.

Questo rapporto tra dentro e fuori con la differente percezione di una forma se mobile o immobile, può creare delle variabili durante il tempo di osservazione, con il nostro movimento mentale a influenzare e incrinare la fissità statica sovrapponendosi al movimento fisico.

In ogni forma visiva che osserviamo, i punti luminosi ci aiutano a coglierne per intuizione gli aspetti astratti, come ci capita con le stelle nel buio della notte.

Dove una linea di luce delinea eventuali trame che nello spazio sembrerebbero porsi quali potenziali confini all’immaginazione, a mettersi in gioco è la percezione del nostro occhio nel tentativo di individuare la via di fuga in un punto dell’infinito.

Nella moltiplicazione dei punti di vista possibili o ipotetici, i punti luminosi congiuntamente al nostro tempo di percezione possono concentrarsi come un concetto di infinito, unico ma allo stesso tempo inesprimibile.

Non potendo incontrarsi mai due momenti identici nel nostro flusso percettivo, sono una serie di stati ciascuno dei quali precede quello seguente a concatenare le sensazioni che proviamo.

Le linee di luce anche se immobili lasciano nella nostra mente una traccia nello spazio, così come un flash di luce ci lascia chiudendo le palpebre.

È qui che l’aspetto percettivo lo trasformiamo da statico in dinamico, durante le fasi progressive del passaggio tra il dentro e il fuori o viceversa, quando le proprietà delle cose sembrano influenzarsi similmente alle ombre che influenzano la realtà.

La percezione astratta delle cose, unisce come parti di un insieme l’unità e la molteplicità di questi aspetti che ci inducono a comporre il vuoto, o una forma indeterminata dello stesso, una forma senza materia.

Se l’invisibile è invece un luogo in cui si segnano attraversamenti tra punti sospesi nel vuoto, quasi un congiungere le sensazioni che si stratificano nella nostra memoria estendendosi in un più vasto spazio, avvicinandosi vediamo una cosa, allontanandosi tutto cambia, può restare solo il nulla.

Una sorta di vuoto non colmato né da segni né parole, che genera una trappola dalla quale diviene difficile affrancarsi, sfuggire.

Ciò che invece di essere contenuto in uno spazio contiene uno spazio nella sua forma, riflette un ordine perfetto in cui le differenze si perdono e si scambiano come le forme che esauriscono le loro variazioni in una sospensione visionaria.

Dall’instabilità del reale allora, negli stati percettivi sviluppati in più direzioni e punti di vista, nascono come un flusso quelle variabili intuitive con cui possiamo coniugare in forma e materia l’infinito.

 

Milano 2018


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